Vent’anni di matrimonio, cinque di fidanzamento. Un quarto di secolo trascorso col mio Marco, conosciuto diciannovenne e ancora oggi, che la carta d’identità mi ricorda come le primavere siano ormai quarantacinque, mio compagno di vita. È una brava persona, Marco. Un gran lavoratore, un bravo padre dei miei due angioletti, Luigi e Antonio. Ma da qualche anno, tuttavia, un po’ assente dal punto di vista affettivo. In senso stretto.
Arriva sempre a casa stanco, stressato. E le attenzioni, purtroppo, non sono più quelle di una volta. Le ho provate tutte, cercando di risvegliare, in lui, quell’animo selvaggio che lo ha accompagnato sino a qualche anno fa, quando non esitava, una volta coricati a letto i bambini, nel possedermi con vigore e passione. Mi sentivo felice e sessualmente soddisfatta. Completamente ai suoi piedi.
Stavo per perdere l’autostima, nonostante le lusinghe non mancassero
Il suo distacco, non lo nego, ha provocato in me non pochi dubbi. E se il problema fossi io? Questo suo distacco, è dovuto al fatto che il tempo, inesorabile e beffardo, fa il suo corso e non sono più attraente? Tantissime altre domande hanno fatto capolino nella mia testa, senza trovare una risposta. O almeno, così è stato sino al momento in cui, ormai prossima a perdere completamente la mia autostima, decisi di aprire gli occhi.
D’altro canto, gli apprezzamenti, soprattutto in ambito lavorativo, non mancavano di certo. Certe frasi, ingenuamente, le ritenevo solo delle battute, dei modi gentili di ingraziarsi una persona, come la sottoscritta, che lavora nella stessa azienda da oltre un ventennio ed è in grado, all’occorrenza, di dare una mano a tutti. E tra questi, un certo Marco, assunto da poco tempo, era solito ringraziarmi con frasi piuttosto lusinghiere nei miei confronti.
Sempre carine, mai scurrili. Era anche un bel ragazzo, nulla da dire. Ricordava un po’ il Banderas dei primi tempi: moro, enigmatico, dal fascino latino e misterioso. Il fatto che avesse il nome di mio marito, che stimavo ed amavo nonostante il suo distacco affettivo, me lo rese probabilmente ancora più simpatico. Marchetto, come amavo scherzosamente chiamarlo visto che era vent’anni più giovane, era anche molto intelligente.
Quell’innocente caffè in zona rossa
Ed aveva colto come il mio sorriso, solitamente radioso e rilassato, si era fatto più forzato, un tantino falso. Continuava a chiedermi “Amanda, tutto bene?”. Ed ai miei “sì”, che diventavano giorno dopo giorno dei “sì, dai…”, Marco credeva poco. Un giorno mi prese da parte e, col garbo che gli era proprio, mi disse di vuotare il sacco, di dirmi cosa non mi rendeva felice. “Sei giovane”, gli dissi. “Non puoi capire quello che cova dentro di me”.
Passarono così altre settimane. Sino a quando, in modo apparentemente disinteressato, mi propose, una volta terminato l’orario di lavoro, di bere un caffè. Risposi istintivamente di sì, senza ricordare, però, che eravamo in zona rossa. E una volta salita sulla sua macchina, alla mia domanda “dove andiamo a bere il caffè”, la sua inevitabile risposta fu: “a casa mia, i bar sono chiusi”.
Acconsentii. Non ci vedevo nulla di male. Era né più né meno un collega, vent’anni più giovane, oltretutto. Una volta entrata nel suo appartamento, terminato di sorseggiare il caffè, Marco si allontanò per qualche secondo. Riapparve, poi, con un pacco infiocchettato: mi aveva fatto un regalo. Prima di scartarlo, gli chiesi “perché?”, visto che non era il mio compleanno. E lui, accompagnato dal suo nobile e felpato savoir-faire, mi disse: “ho intuito a cosa è dovuto la tua tristezza, Amanda. Credo di conoscerti meglio di chiunque altro. Scartalo, vedrai ti piacerà”.
Sesso e fantasia: connubio imprescindibile
Appena lo scartai, vidi che la scatola era marchiata Sexo Mania e al suo interno era presente un vestitino sexy da scolaretta con bretelle. Mi divertì molto l’idea, Per me l’abbinamento “sesso-fantasia” è ineludibile. Compresi, definitivamente, che gli piacevo: tutti i suoi complimenti non erano di facciata, ma spinti da un forte ascendente nei miei confronti.
Lo ringraziai. Gli diedi un innocente bacio sulla guancia. Poi mi avvicinai all’orecchio e gli sussurrai: “vuoi che lo indossi per te?”. Sorrise, senza proferire alcuna parola. Quel sorriso, d’altro canto, era già una risposta. Andai in bagno, mi pettinai da scolaretta con i classici codini ed indossai l’abito, che esaltava la terza di seno abbondante e le mie cosce, vero punto di forza del mio corpo sin dall’adolescenza.
Appena mi vide, mi avvinghiò a sé ed iniziammo a baciarci in modo passionale, come mai, onestamente, mi era capitato in vita mia. Mi possedette con una maestria ed un vigore da navigato esperto dell’arte amatoria, nonostante fosse poco più che venticinquenne. Da allora, io e Marco ci frequentiamo clandestinamente, ricorrendo, non di rado, all’utilizzo di completi stuzzicanti: dalla poliziotta sexy alla suora perversa, fino a quello da crocerossina depravata. E finalmente, mi sento un’altra Amanda. Felice ed appagata.